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lunedì 7 gennaio 2008

La violenza sulle donne e il non rispetto della persona


“Professore, - chiede una alunna - parliamo di un problema attuale.” Il professore resta in silenzio per qualche secondo, intento a completare le operazioni di rito (assenze, firma, annotazioni) e, intanto, considera la richiesta: “La violenza sulle donne”.
Appare evidente la consapevolezza della gravità del problema, ma anche il bisogno di fiducia per poter parlare con qualcuno delle loro pressanti problematiche. Il professore chiede a loro di avviare il confronto e si inizia con l’evidenziare la scarsa tutela a favore delle donne. “Le donne non vengono affatto tutelate per la loro fragilità - sostiene una studentessa dell’ultimo anno - e noi siamo costrette molte volte a subire la forza, spesso incontenibile, dei maschi.” Si avverte subito come l’uso della forza appare lo strumento più diffuso usato dai maschi per prevalere; un’altra ragazza sostiene che occorre ripartire da un piano di parità perché non è giusto che la questione della violenza diventi una prevaricazione di forza. Due interventi che evidenziano la forza da un lato e la ricerca della parità dall’altra, ma la questione non è ancora stata affrontata del tutto ed ecco che un successivo intervento sostiene che: “Molto spesso occorre considerare la nostra condizione di voler ostentare le nostre attrazioni femminili dimenticando che il sesso forte è sessualmente molto debole e quindi capace di reagire come non immaginiamo. Vi siete mai chiesto a che cosa servono i pantaloni sotto l’ombelico, il décolleté mozzafiato, i jeans attillati ed altro?” Certo anche questo ha la sua parte, ma la libertà dei costumi non può essere considerata come una limitazione, anche se la moda deve pure fare i conti con il pudore pubblico, nel senso che nessuno può agire senza considerare gli altri aspetti, magari in maniera epistemica, della vita globale della persona.
Il problema sta entrando nelle coscienze di ognuno e, le donne in particolare, cominciano a voler evidenziare i comportamenti sgradevoli e ineducati, la terminologia offensiva e oscena che i giovani, quasi la maggior parte, usano per farsi belli, per farsi rispettare.
C’è già differenza di vedute tra le diciottenni e le quattordicenni: ancora più in negativo. “Ho sentito delle affermazioni da parte di quattordicenni - interviene una ragazza stupita - che mi hanno lasciata senza parole e mi vergogno perfino di ripetere!” Non vogliamo sentirle, le possiamo immaginare.
Parole pesanti che vanno oltre la realtà e definiscono in maniera chiara il disagio delle ragazze, ma, pur senza parlare, è affiorata profonda la difficile condizione dei maschi e la loro abdicazione e la quasi rinuncia all’amore, al rispetto della donna, al mantenimento della dignità che, (naturalmente questo in termini generali e che, per fortuna, non appartengono alla totalità delle persone) appaiono essere le grandi protagoniste di una età che dell’amicizia ne ha fatto un mezzo, del sesso un oggetto da ostentare, della persona un essere svuotato di calore umano, di affetti e di quel grande sentimento dell’amore che è innalzamento il possederlo, nobilitazione il viverlo.
Più di ogni altra cosa, però, sembra dominare la condizione in cui vivono i nostri giovani che appare essere senza speranza, di certo molto materialistica e sicuramente preoccupante per il domani, quello loro, ma anche quello nostro di adulti affaccendati a ben altre cose che producono, molto spesso, gli stessi risultati: la vacuità!

Angelo Scialpi
"Corriere del Giorno"

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