Chiunque abbia pensieri, parole, immagini o altri frammenti della vita di Babbo che voglia condividere a rinforzo di queste pagine da lui create, può inviarli direttamente a francesco.scialpi@gmail.com.
Grazie, Francesco


... ciao bà ...

martedì 27 gennaio 2009

Nel giorno della memoria occorre ricordare per consolidare la identità culturale della nazione!

1. Avere la forza di ricordare significa avere la capacità di interrogarsi e di comprendersi, in particolare significa consolidare la consapevolezza di aver vissuto una esperienza e di averne individuato la giustezza. Non si desidera quasi mai parlare delle proprie esperienze passate, se non di quelle positive, anche se sono le esperienze difficili che consolidano la persona e le permettono di individuare i valori della vita. Ricordare, molto spesso, significa rivivere le infelicità vissute; significa superare quello stato di omertà che investe la persona stessa di fronte alla paura. Non si parla perché non si ha fiducia e perché il male ti raggiunge immediatamente e senza preavviso; non si parla perché c’è sempre qualcuno pronto ad approfittare, e forse anche perché dicono che la giustizia sia lenta. Non si parla anche perché manca quasi sempre la persona giusta con cui poterlo fare; in certi casi può ancora accadere che se lo si fa liberamente, dimostrando coraggio ed esprimendo una giusta e oggettiva opinione, ecco allora aprirsi le porte dell’antipatia, dell’offesa e della ripicca fino al compimento della vendetta. Questo fatto non leva la vita, ma leva il diritto.
Non c’è futuro senza memoria, ma la memoria è visione globale che racchiude ogni visione parziale e individuale delle cose, e si ritrova custodita nell’ambiente, all’interno della stratificazione della civiltà e delle esperienze della gente che ci ha preceduto.
Il valore che si conferisce al passato trova la sua essenzialità nella visione continua di tendere ad un futuro migliore, più luminoso, certamente più a dimensione d’uomo e al passo dei tempi. Vivere il significato dell’accaduto significa partecipare alla costruzione continua della memoria, alla ricostruzione del nostro passato, alla verifica delle nostre azioni, alla analisi dei comportamenti attuali che ha senso solo e soltanto se riportata al passato e proiettata nel futuro.
Il giacimento umano e culturale deve resuscitare il patrimonio dell’anima, così come quando uno scrittore, un poeta, un pittore, un musicista riesce ad esprimere tutta la sua interiorità artistica per il piacere di esternare moti interiori in grado di abbellire l’esistenza e di disegnare un percorso adeguato lungo il quale poter vivere la propria esistenza e darle un senso

2. La memoria della Resistenza. Il destino degli uomini sembra appartenere più all’effimero che alla storia, più all’improvvisazione che alla operatività razionale. Una carente memoria non permette di consolidare l’ideale patriottico e tanto meno il carattere di un popolo.
Troppo veloci appaiono i cambi di opinione e troppo repentinamente dimentichiamo le lotte fratricide il cui dolore fa scuotere ancora i nostri padri.
Le lotte fratricide! A ben riflettere, forse, la Resistenza italiana non ha mai cessato di esistere. Certo è sempre più difficile opporsi a volontà protette, ma più ampio è il ventaglio delle costrizioni e delle difficoltà. Un popolo,come un cittadino qualsiasi, deve sempre far tesoro dell’esperienza passata.
L’odio e l’amore sono talmente confusi che vengono prodotte soltanto espressioni di terrore, di dolore e di sofferenza, … di restrizioni.
In questi tempi contiamo i morti sulle strade, ma anche la cattura di un ennesimo super latitante, boss made in Italy; sul fronte politico assistiamo ad un clima difficile ed a comportamenti inusitati. La politica non dovrebbe essere potere acquisito, ma movimento e trasformismo, facendo appello e trovando la propria identità nella soluzione delle esigenze dei cittadini. La politica dovrebbe essere dovere civico di servizio, così come lo svolgimento di qualsiasi altro ufficio!
La guerra ripropone i problemi di profonda pertinenza della sfera umana. Il suo seminare orrori e sangue spesso si identifica con la esuberanza delle responsabilità, con delle motivazioni che non sempre sono adeguate al bene delle parti, con la ricerca di qualcosa che nulla ha a che vedere con la protezione della persona umana. Quanti danni perpetrati a guerra finita e quante attestazioni di viltà per poi arrogarsi il diritto di aver contribuito a creare la libertà. E’ la storia degli uomini. Ci vuole rispetto e dignità anche nella sofferenza, tanta forza di sopportazione per il dilagante qualunquismo. Agli uomini di fede non può sfuggire il senso elevato dell’umano ripetersi del sacrificio ogni qualvolta è in discussione la conquista di un ideale comune che riscopre il bene profondo per tutti.
Recuperare un esempio non significa soltanto recuperare il ricordo; significa soprattutto recuperare un riferimento pedagogico permanente intriso di orgoglio che è obiettivo civile prima ancora di essere sacrificio; sacrificio che dovremmo sentire tutti addosso, pesante, ingombrante per non essere riusciti a tradurlo in civiltà leale e in storia nuova.
La Resistenza: un atto d’amore per conservare il dono della vita, per restare adulti nella fede, per vincere il male che appartiene a uomini privi di ragione e capaci di incutere timore spezzando l’esistenza stessa seguendo logiche perverse, dissennate e tribali.
Bizzarrie della storia, ma pur sempre storia e come tale foriera di suggerimenti e nuova proposizione.

3. L’impegno a ricordare la Shoah attraverso la testimonianza dei sopravvissuti ad Auschwitz, ma anche e soprattutto della scuola, vuole essere un’occasione per i ragazzi per meditare e meditare ancora, affinché la tragedia del secolo scorso, l’Olocausto, non si ripeta mai più. Nello stesso tempo si vuole sottolineare l’alto compito educativo della scuola che “recupera quei fatti storici e quei luoghi e li trasforma in occasioni di riflessione e studio per combattere l’indifferenza e l’oblio, connette la Memoria della Shoah all’educazione interculturale, trasformandola in paradigma della difesa dei diritti umani nel mondo contemporaneo, rende viva e attuale la vicenda storica, cioè in collegamento con i problemi della tolleranza, del razzismo e dell’antisemitismo nelle società multiculturale”.
“Sempre di nuovo emerge la domanda di S.S. Benedetto XVI: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”
Un grido di dolore che invoca aiuto per quanti soffrono per amore della verità e della giustizia; verità e giustizia che dovrebbero appartenere al libero arbitrio di ogni persona che ha l’opportunità di godere del dono della vita; verità e giustizia che dovrebbero essere ordinate, non codificate da regole imposte, all’interno del comportamento di ognuno e nella ricerca della libertà interiore che determina il rispetto per gli altri, tutti, e ricompone lo spirito di servizio che deve invadere quanti sono al servizio della società, della gente, del miglioramento della vita.
Pensare a questo giorno come semplice ricorrenza significa non responsabilizzarsi abbastanza; significa non sapere (come già tanti giovani hanno dimostrato con il loro non conoscere); significa continuare a vivere senza il coordinamento tra passato e presente; significa non vivere la bellezza del tempo o vivere una vita altra. Ogni esperienza nasce da quella precedente e mai la stessa esperienza è utile per tutte le circostanze; ciò che è utile per tutti i tempi è la capacità razionale di identificare i fatti e collegarne i motivi che generano prevenzione e crescita, personale e collettiva, per riuscire ad allontanare lo spettro del male.
La “Shoah” , ma non solo! Ci sono altri comportamenti dell’uomo, in genere, che devono permettere ai giovani di trarre insegnamento opportuno e tradurre il loro impegno in servizio sociale e non in apparato personale da utilizzare secondo i propri interessi. I tempi moderni sono intrisi di azioni non positive, che creano e indicano percorsi nuovi e nuove difficoltà che l’uomo deve conoscere e tentare di superare con un corretto comportamento e il rispetto della persona umana, sempre irripetibile.
Il giorno della memoria, ma anche il giorno del dolore e della sconfitta; del dolore perché il ricordo apre sempre ferite profonde e non sappiamo se esiste qualcuno in più nel già esiguo novero di persone coraggiose e oneste; della sconfitta perché, amaramente, occorre prendere atto dello stato di assoluta precarietà civile le cui nefandezze non hanno rappresentato e non rappresentano credibilità per il singolo cittadino. Cittadinanze spesso lacerate!
La memoria è conquista quotidiana che ricerca la salvezza e non può, contrariamente alla idea comune, starsene in disparte e attendere. La divulgazione e la diffusione sono dei compiti importanti che la società civile deve perseguire per tenere alto l’orgoglio civico nazionale e il senso della appartenenza. In questa ottica la celebrazione del giorno della memoria deve continuare a distendere la sua valenza etica e pedagogica, e contribuire a favorire la diffusione di quanto nel passato apparteneva a pochi e oggi appartiene a tutti: la memoria per vivere il futuro! Il dovere non è mero rispetto della regola, ma capacità di saper trasmettere agli altri la propria cultura per permettere alle generazioni future di contare sui valori della appartenenza.
Nel giorno della memoria dovremmo anche ricordare che cosa abbiamo fatto a favore di queste persone e come siamo stati solidali con loro, ma soprattutto come potremo esserlo per riordinare la magia della appartenenza.
I giovani devono fermarsi un attimo, dopo aver spento il cellulare, e pensare che il loro correre verso il divertimento effimero e verso il chiasso potrebbe anche essere un voler correre obbligato verso l’inconsapevolezza e la omologazione: mali che affliggono la vita di oggi. Abbiamo bisogno di tutti per sollevare il capo e riprendere il cammino della civiltà, dopo aver ricordato e dopo esserci guardati per comprendere comportamenti insulsi e prevenire angherie, soprusi e atteggiamenti spocchiosi e irriguardosi. Abbiamo bisogno di confermare un ideale modo di vivere nel rispetto della persona e della nazione!

4. Il nostro impegno di educatori rimane baluardo certo dell’agire per competenza, per consapevolezza: qualità della persona che oggi devono contribuire alla costruzione dell’uomo moderno alle prese con le tante difficoltà che lo indeboliscono continuamente e lo rendono privo dei grandi valori che hanno reso grande una nazione e forte un popolo. Questa terra è pregna di scenari storici indimenticabili dove è stato possibile costruire una nazione, garantire la crescita della civiltà e l’orgoglio della cittadinanza italiana. Nel loro nome, eroi di ieri, ma anche di oggi, si continua una esistenza di richiamo e di esempio di resistenza che mai deve abbandonarci per permettere alla vita di essere eterna e di continuare a vivere sempre dentro e fuori di noi, ieri come domani.In questo nostro sforzo di essere costruttori della legalità, viene spontaneo un grido: Viva l’Italia!




Angelo Scialpi

lunedì 5 gennaio 2009

Mariastella Gelmini: una riforma necessaria
Subito i voti in decimi, il voto in condotta e l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione

In tempo di crisi è giusto che si ricominci a rivedere l’organizzazione delle istituzioni e della vita civile della popolazione. Le crisi sono momenti terminali di una disagio organizzato, o meglio di una organizzazione poco adeguata alla contemporaneità. Può anche succedere che interventi diffusi e differenziati nel tempo non raggiungano gli obiettivi desiderati e quindi giunge il momento in cui è necessaria una rivisitazione generalizzata. Si comprende bene la difficoltà che un intervento regolarizzante comporta, ma si capisce comunque meno la reazione e la diffusa mobilitazione in nome di una non discussa riforma. Occorre sottolineare che non si tratta di riforma, ma di adeguamento alla spesa pubblica e, di conseguenza, della necessità di poter arginare una difficoltà esistenziale della gente e della istituzione scolastica, ormai impossibilitata a riconquistare il primato della formazione.

In Italia si riesce difficilmente ad organizzare il nuovo senza distruggere materialmente quanto è stato costruito con il sacrificio dei cittadini, ma se solo si avesse il quadro generale dell’andamento della società, dei risultati di una istituzione, delle risultanze del vivere di ogni singolo cittadino, allora credo che saremmo meno radicali e maggiormente disposti alla condivisione di scelte non soltanto necessarie, ma dovute.

Qualche volta occorre possedere il senso della obiettività per riuscire prima a capire la necessità di un intervento e poi la sperimentazione dello stesso per poter proseguire in maniera più corretta.

Certo la scuola non è paragonabile ad certe altre istituzioni che sono rette da lobby, da ordini professionali e da caste politiche, la scuola è un donnone sulla quale tutti riescono a trovare posto e dove coabitano le più diverse intelligenze e capacità. Il pachiderma della istruzione riesce, è riuscito, fino a questo momento, a trasportare tutti ricevendo molto poco in cambio. Nessuno si è accorto che i tempi erano maturi per una istruzione regolata sulla profonda trasformazione della società.

Nel luglio scorso il decreto ministeriale per le graduatorie del personale ausiliario ha previsto il diploma di qualifica per essere inseriti nella graduatoria degli incarichi e supplenze dei collaboratori scolastici. Questo non è cosa da poco se si pensa che migliaia di persone hanno dovuto rinunciare a questo tipo di lavoro che fino a poco tempo fa riusciva ad arruolare gente di ogni tipo. Non si può sottacere il fatto che oggi non è più semplice come prima svolgere l’attività di bidello, per cui si può liberamente affermare che nel giro di poco tempo questa categoria di lavoratori sarà certamente più preparata e meglio rappresenterà la scuola. Chi pensava che i bidelli erano l’ultima ruota del carro adesso deve ricredersi radicalmente. Le professioni si evolvono!

Ma io voglio cercare di offrire una visione più allargata del problema, partendo dalla necessità che il legislatore ha avuto per legiferare nella direzione che ormai tutti conosciamo. Premetto che la mia identità di pensiero è estremamente moderata e che la stessa è supportata da variegate e differenziate esperienze vissute e dalle quali emerge questa mia convinzione, che rimane personale, ma che prevede la osservanza scrupolosa della norma, mentre l’utilizzo della abilità consiste nell’adeguamento migliore della stessa ai lavoratori ed ai risultati: la qualità del servizio.

La riforma della Pubblica Amministrazione, ritenuta peraltro essere ancora in via sperimentale (altrimenti questi adeguamenti non sarebbero possibili), ha come obiettivo principale l’avvicinamento delle istituzioni alla gente.

L’art. 31 della legge 15 marzo 1997 e il successivo Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 – Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, coniugano il decentramento dei poteri e delle funzioni sulla base del principio di sussidiarietà, che stabilisce l’ordine delle competenze nella società e le responsabilità tra le rispettive componenti, affermando, com’è noto, che quanto i livelli inferiori di governo e le relative comunità possono fare da sé non può essere assunto o avocato dal livello superiore e imponendo altresì a quest’ultimo di erogare ai livelli cui vengono riconosciute specifiche competenze e responsabilità le risorse necessarie per adempiere alle loro funzioni. Il principio di sussidiarietà stabilisce pertanto che è il centro a dover essere strumentale alla periferia, e non viceversa, realizzandosi così un processo a doppio binario; da una parte il trasferimento dei poteri e delle competenze dal Ministero della Pubblica Istruzione al sistema scolastico nazionale e alle singole istituzioni nelle quali esso si articola; dall’altra il decentramento dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali.

L’obiettivo è l’ottenimento del miglior risultato del servizio e la migliore efficienza dello stesso.

Diamo adesso una occhiata ai motivi che, sempre secondo me, hanno ispirato il Decreto Legislativo Gelmini. Per prima cosa la situazione economica nazionale; il decreto è strettamente legato alla finanziaria. Poi i risultati educativi che OCSE e PISA ci propinano continuamente per cui sembriamo gli ultimi della classe europea. Secondo me questi sono dei motivi, ma non sono quelli importanti. Quelli importanti sono la realtà stessa dei risultati e del divenire dei nostri giovani all’interno di una società che è andata, essa stessa, sfilacciandosi ed ha creato da una parte una sacca di impreparati o di preparati sul nulla, dall’altra la nascita di tante sperimentazioni, anche universitarie, che non hanno portato da nessuna parte. Si è soltanto dato fiato ai numeri, alle clientele ed alle false necessità. Corsi universitari che potrebbero essere sostituiti da un solo esame opzionale!

La società civile ha una grande colpa in questo, colpa che è difficile arginare se noi non siamo in grado di farlo proteggendo noi stessi. Se c’è un genitore, e ce ne sono, sicuramente riconoscerà il vivere difficile dei propri figli, il loro rincorrere falsi miti, la corsa in banca per fornire loro la motocicletta o l’automobile, il rientro a casa al mattino, gli ingressi in discoteca, la partecipazione a gruppi strani di compagnie, le discoteche, i pub, i club privè…..ma insomma, queste non sono classi, qui non ci sono docenti, ma sono realtà che hanno preso il sopravvento, lasciandoci senza persone per effetto delle fragili personalità che cercano l’alibi della giustificazione nella scuola inadeguata.

I ragazzi non studiano più, non vogliono essere interrogati, non comprano i libri, traducono, molto spesso, i buoni libro in cellulari, vanno a scuola senza penna, senza fogli per il compito in classe. Provate ad entrare in certe classi del superiore; il bagaglio unico è rappresentato dal cellulare, mentre l’interesse principale comune è quello di conoscere l’occasione nuova del divertimento o del passatempo serale per poi contare, al mattino dopo, i caduti. Molti genitori non sanno che cosa fanno i figli, dove vanno, con chi vanno e poi… la politica, la agognata cultura, le associazioni, la chiesa che appaiono inermi di fronte a certi problemi.

Analizzando il dettato legislativo viene da immaginare un possibile filo rosso che lega un provvedimento all’altro. Certo la norma è sempre il risultato di una riflessione, la conseguenza di una necessità e allora mi sembra giusto che la cittadinanza e costituzione intervengano come materie di studio a supporto del divenire homo civicus. Provate a chiedere ai giovani che cosa è l’ente locale, come si vota, come si formano i governi, come si attiva una legge, come chiedere un diritto qualsiasi. Provate, io non riesco a rispondere! Ma occorre tenere bene in mente che i tempi sono veloci per cui siamo già alle prese con la difficoltà di vita se solo non sappiamo usare un computer, se solo non conosciamo il mercato, se solo non sappiamo guidare, ancor meno se non riusciamo a rispettare l’altra persona.

Tutto questo ci obbliga ad esercitare con prestigio il ruolo educativo e morale per i nostri cittadini, mantenendo e riappropriandoci di quell’alto riferimento morale che rimane tipico della professione docente, ma va compresa la enorme difficoltà dell’agire educativo di oggi che rimane vincolato ai tanti problemi della vita, alle sue innovazioni, alle continue sollecitazioni che provengono da altre esperienze, da altre civiltà, da altre educazioni, dal cambio epocale in sé. Tutto questo dovrebbe riguardare la ricerca della qualità della vita e il rispetto del docente, sia in termini umani che di giusta remunerazione.

Qualcuno dice che “il voto numerico, come il voto in condotta, presentati come strumento di chiarezza e di lotta al bullismo, eludono da un lato i problemi della valutazione, che è fatto formativo per eccellenza e non fatto classificatorio e sanzionatorio, dall’altro i problemi della “gestione colta e competente” della difficoltà della preadolescenza, di per sé età di crisi, e in particolare della preadolescenza del nostro tempo, sempre più smarrita e bisognosa di relazione all’altezza delle sue complessità.” Personalmente ritengo che il ritorno al voto determini chiarezza di valutazione e comprensione generale. Ricordo i vecchi giudizi. Inizialmente tutti alle prese con la creatività, poi, subito dopo, tutti con elenchi interminabili dai quali si attingeva quello che meglio si adattava a questo o quell’alunno, a questo o a quel candidato. Mancando poi abilità e capacità di scrittura la questione diveniva quasi ridicola. Dall’altro lato i genitori riuscivano a capire molto poco di quanto era scritto nei giudizi globali. Il bello è che, col passare del tempo, quei giudizi si sono trasferiti anche alla scuola superiore e in certi particolari concorsi. Credo che occorrerà molta attenzione e obiettività nell’esprime un voto in decimi, sapendo che la promozione arriva con il sei e non con il mediocre, quasi sufficiente, accettabile, globalmente probabile, ecc

Analogamente il voto in condotta può determinare la ripresa della responsabilità e l’acquisizione persa della propria azione comportamentale. E’ vero che il mondo degli adolescenti è difficile, ma è vero anche che questi non sanno più distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato, quello che è possibile da quello che non è possibile fare. Ricordate quelli che avevano ucciso una coetanea che cosa dissero alla polizia: “Adesso che abbiamo confessato, possiamo andare a casa?” Il guaio è che i problemi e le difficoltà si sono estese ai più adulti per cui rimane difficile riuscire a recuperare il senso della responsabilità e della partecipazione.


Angelo Scialpi