Chiunque abbia pensieri, parole, immagini o altri frammenti della vita di Babbo che voglia condividere a rinforzo di queste pagine da lui create, può inviarli direttamente a francesco.scialpi@gmail.com.
Grazie, Francesco


... ciao bà ...

domenica 18 dicembre 2011

"El sistema" di Josè Antonio Abreu

Forse non tutti sanno che El sistema Abreu ha avuto una sua realizzazione anche in Italia. Il canonico Padre Annibale Maria di Francia (dalle case Avignone), divenuto poi Santo (ad opera di Giovanni Paolo II), fu il fondatore delle Congregazioni dei Rogazionisti (rogate ergo) che avevano l’obiettivo di istituire orfanatrofi dove poter studiare, imparare un mestiere artigianale e altro. Istituzioni che hanno operato, e forse operano, con lo stesso spirito educativo e di recupero di Abreu.
Padre Annibale di Francia (1851), nativo di Messina, a seguito di calamità naturali, fu costretto a migrare e, passando dalla Puglia, fu più volte invitato a fermarsi. Vista la notevole presenza di orfani di guerra, la scelta cadde su Oria. Ad Oria Padre Annibale istituì il suo secondo centro meridionale. In quel centro ogni orfanello, oltre a studiare e imparare una attività artigianale, imparava anche uno strumento musicale. Fu costituita una banda, famosa appunto come “La banda degli orfanelli”, che andava in giro per le città della Puglia in occasione delle feste patronali.
L’arte, in genere, rimane alla base della formazione e della istruzione, ma soprattutto del recupero del disagio.
Ma sentite questa pagina della mia vita d’infanzia, pur non essendo stato un orfanello.

Avevo 8 anni, frequentavo la terza elementare, quando una sera vennero a casa dei parenti e conoscenti per invitare mio padre ad iscrivermi alla nascente scuola di musica del paese.
Si era costituito una sorta di comitato che si recava nelle abitazioni per invitare I genitori ad iscrivere i loro figli piccoli.
Io fui presente a quell’incontro (lo ricordo ancora) in quanto il mio papa non mi lasciava mai da solo e mi seguiva negli studi. Eravamo già amici e mi raccontava delle imprese siciliane dove era in servizio per lottare il bandito Giuliano.
Con il patrocinio del Comune, un Comitato promotore aveva deciso di fondare una orchestra musicale di piccolissimi. Ricordo che iniziai subito a frequentare la scuola di musica, in orario serale, e dopo qualche mese di preparazione teorica (Il metodo BONA) mi fu assegnato lo strumento: la tromba in MIb. Nel giro di alcuni mesi l’orchestra di Pulsano (io ero tra i più piccoli, ma i più grandi non superavano 30 anni e suonavano il basso, I piatti o la gran cassa), si presenta alla cittadinanza con una sfilata lungo tutto il corso Costantinopoli, con sosta nella centrale Piazza Castello.
Ricordo che fu una attrazione formidabile per il paese e tutti divenimmo ben presto loro beniamini. Eravamo attesi ad ogni manifestazione e questo accresceva in noi la voglia di fare meglio. Passammo dalle marce trionfali alle carole natalizie, dalle marce del Venerdì Santo ai primi intermezzi sinfonici e quindi poi alle opere liriche.
In divisa poi, ci sentivamo importanti e quasi ragazzi intoccabili. L’esperienza continuò per alcuni anni e l’orchestra Città di Pulsano migliorava sempre più e girava per la Puglia e la Basilicata. In prima media mi fu assegnato un nuovo strumento. Mi fu detto che ero pronto per il cambio. Fui orgoglioso (ormai conoscevo bene tutti gli strumenti) di avviare l’esperienza del flicorno sopranino: la prima tromba.
Fu una esperienza esaltante per le tante piazze del sud e ricordo, come se fosse ieri, il mio primo assolo sulla cassa armonica a Monteiasi, con la Traviata: tutte le feste al tempio.
Avemmo molto successo, eravamo sempre in giro e io ero sempre invitato a pranzo dalle famiglie del luogo dove andavamo a suonare in occasione delle feste patronali. Ricordo una volta che, dopo aver eseguito la Marcia trionfale dell’Aida in piazza a Frigole, con la tromba egiziana, quando scesi dalla cassa armonica fui sollevato sulle spalle tanto la tromba era più alta di me.
Ricordo ancora di una volta in cui fui prelevato da un signore adulto e accompagnato ad un paese vicino, dove c’era un’altra orchestra, e inserito, per una sera, nelle prove generali di concerto: Manon Lescaut.
Quanti interventi in manifestazioni con l’esecuzione del silenzio, dell’alza bandiera, dell’attenti!
Questo sogno infantile prima e adolescenziale poi durò fino alla terza media, quando una complesso bandistico di un altro paese voleva acquistarmi come prima tromba, proponendo a mio padre una borsa di soldi al mese. Ebbi paura della proposta soltanto perché andava a infrangere il mio sogno di sempre: fare il professore, nonostante mio padre, che era un carabiniere, voleva che diventassi avvocato. Quello fu un anno molto difficile per la mia tenera età: mio padre, a seguito di un incidente stradale, rimase invalido e la famiglia visse un periodo difficilissimo. Doveva andare così per potermi rafforzare nella vita e per la vita, ma io non smisi mai di suonare. Lasciata l’orchestra, mi pare che poi (ma io non avevo cognizione della politica) la stessa fu sciolta in quanto era divenuta importante e gli adulti cominciarono a litigare e l’impresario a fare l’italiano pigliatutto.

Io non lasciai mai la musica; in seguito fondammo un complesso musicale e continuammo a divertirci alla grande con la musica leggera, esibendoci nei locali, nei matrimoni, nei raduni musicali. Era la stagione delle bands musicali e dei Mac p 100.
Non ho mai avuto bisogno di denaro! Guadagnavo a sufficienza per pagarmi gli studi e mantenere lo scooter che utilizzavo spesso, di nascosto, anche senza patente per recarmi in paesi vicinissimi e col basco della divisa che ci camuffava da adulti e pensavamo di sfuggire all’alt della polizia.
Per fortuna tutto è sempre andato bene fino al conseguimento della patente, anche questa in forma privata.
Ho voluto che i miei figli studiassero la musica. Lo hanno fatto spontaneamente e con piacere, ma di certo ho voluto che avessero dentro di loro, e lo custodissero a vita, il seme della creazione dell’armonia dell’anima, così come recita la spiegazione generale della musica: “E’ l’arte dei suoni che esprime I sentimenti dell’animo nostro”; in questo caso la espressione dei sentimenti è sicuramente la migliore che la mente possa esprimere e con essa la manifestazione migliore del divenire e dell’essere uomo.

Devo ringraziare sentitamente la Dirigente Roberta Leporati per avermi invitato e per avermi dato questa opportunità di scrivere una pagina della mia vita d’infanzia. Quando mi ha spiegato il motivo dell’invito, sono stato colto subito da un fremito interiore, riferendo di essere onorato. In realtà la Dirigente mi aveva piacevolmente proiettato nel mio passato facendo suonare in me la tromba della realizzazione della mia vita. Ho ripercorso i sentieri del pensiero e dell’agire da bambino, tenendo conto dell’ambiente (allora ancora incontaminato) e delle persone, allora ancora semplici e buone e desiderose di organizzare la vita e abbellirla con iniziative che segnavano il progresso, ma anche la evoluzione delle cose in un periodo difficile della ricostruzione, certamente colmo di speranza.
Non ho mai rigettato quella esperienza, anzi ho sempre pensato che la stessa mi avesse conferito una maggiore sicurezza, abbellito la vita, organizzato il mio futuro, del quale ne sono stato unico artefice e durante il quale non ho mai offeso e molestato nessuno, prevaricato alcuno, anticipato altri. Tutto ciò che ho fatto e faccio, lo faccio per invito, il riferimento va naturalmente agli incarichi altri, svolti e in via di svolgimento, come la docenza universitaria a contratto a Ingegneria, agli inviti in convegni, incontri culturali e, non ultimo, l’ufficio che in questo momento cerco di ricoprire con il valore del riferimento, della difesa della istruzione pubblica, dell’attenzione a risolvere tutti I problemi per tutti, senza preferenza alcuna, della formazione del personale, ma solo per il bene della istituzione scolastica jonica. Sono convinto che occorre svolgere ogni cosa, solo e soltanto in pieno spirito di servizio. “We Serve” , dicono in alcuni luoghi, e noi siamo convinti che il miglior servizio che un uomo possa fare a se stesso e alla società alla quale appartiene è, appunto, servire gli altri senza aspettarsi nulla, ma nel rispetto della regola!



José Antonio Abreu
“Centocinquanta orchestre giovanili e 140 infantili, 250.000 tra bambini e ragazzi che hanno imparato a suonare uno strumento musicale e fanno parte di un'orchestra. Il 'sistema Abreu', cioè il progetto sociale e musicale messo a punto 32 anni fa in Venezuela da José Antonio Abreu. Ha strappato i giovani alle bande criminali, li ha riscattati da una situazione di miseria materiale e spirituale, dando loro la forza per lottare per il proprio futuro e per quello delle persone vicine. Suonare in un'orchestra, spiega infatti il maestro Abreu, è molto di più di studiare la musica. Significa "entrare in una comunità, in un gruppo che si riconosce come interdipendente", perseguire insieme uno scopo. José Abreu, un mito politico, che con il suo “sistema” ha salvato trent’anni di generazioni che sarebbero altrimenti finite in strada per spaccio o prostituzione. Abreu nasce in Venezuela da avi italiani nel maggio del 1939 trascorre la sua giovinezza dedicandosi per metà agli studi di economia ed il resto alla sua passione per la musica. Fu proprio la passione per la musica codiuvata all’interesse per una società civile corrotta e degradata a portare Abreu nel 1975 a fondare El Sistema, che si poneva come intento di distogliere i giovani dalla criminalità travolgendoli con la passione per la musica.El Sistema meglio conosciuto dai venezuelani con l’acronimo Fesnojiv (Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela) conobbe un massiccio sviluppo quando José Abreu divenne ministro della cultura, da tale posizione riuscì a donare tramite finanziamenti governativi uno strumento ad ogni bambino che ne facesse esplicita richiesta.”

D.D. “Chiarelli” - Martina Franca - 15.6.2011

sabato 26 novembre 2011

Donna è sport

Dal latino deportare, uscire fuori porta per altre attività.  Da questo termine derivarono il francese desporter (divertimento, svago); e l’inglese disport che successivamente venne abbreviato nell'odierno sport. Il termine in italiano che più si avvicina all'etimo è "diporto", che significa svago, divertimento, ricreazione. Sportivo rimane tutto ciò che non è formale, ma di gusto: atteggiamento sportivo, vestire sportivo, auto sportiva, ecc., quasi a voler realizzare una interazione tra l’essere e lo sport.

La diffusione della pratica sportiva è il segno dell'importanza che lo sport ha assunto da un punto di vista sociale, economico e politico. Lo sport è parte integrante della cultura di una società e si sviluppa in sinergia con i cambiamenti che la contraddistinguono. Come tutte le tendenze di pensiero, anche lo sport è figlio del proprio tempo, anche perché esso  rappresenta un mezzo di trasmissione di valori universali, una scuola di vita che insegna a lottare per ottenere la ricompensa meritata e che aiuta alla socializzazione ed al rispetto tra compagni ed avversari. Si realizza così quella forza necessaria per affrontare le difficoltà e procedere con sicurezza, proprio come, in termini di pensiero, si realizza la fronesi pratica per affrontare e superare le difficoltà della vita.

Attenzione, questo non vuol dire che bisogna apparire dei giganti e ostentare una forza vicina alla brutalità; non serve a nulla, se non a fare del male. Lo sport è disciplina pura e non deve essere rinforzata da alcuna sostanza aggiuntiva all’organismo. Mi pare che si chiamano integratori?! Occorre fare molta attenzione… ma questo è un problema altro.

La passione è per l’uomo l’origine della sua vita, del suo essere diverso, della sua arte, del suo agire eroico, così come l’enigma femminile è un motore essenziale nella vita di ognuno. La cosa più semplice che l’uomo compie è dimostrare la forza distruttrice che si oppone alla forza generatrice della donna, ma di certo l’agire nel pianeta donna è un agire, fatte le dovute eccezioni, più complesso, ma anche più regolare, più disciplinato, più organizzato di quello dell’uomo, più distaccato e certamente più consapevole. E’ nella natura genetica che, sempre con le dovute eccezioni, rappresenta il lato migliore della vita che potremmo definire  the bright side of the moon.

Una qualsiasi bontà ha sempre valore soltanto se coniugata bene alle condizioni altre, nel senso che la bellezza fisica è nulla se non è collegata alla bellezza razionale, intellettiva, di pensiero, di contegno. Ogni sistema deve essere correlato all’altro e tutti insieme far avanzare l’individuo persona, diversamente si crea una certa distorsione che fa emergere il lato negativo delle cose e dei comportamenti.

Intrigante enigma, la donna rimane, nell’arte come nello sport, la figurazione di tutti i tempi; un universo nel quale colori, forme, musica, poesia e forza  si incontrano per esaltarne il mito che rimane essenza di vita e fonte inesauribile di ispirazione e quindi di creatività. Questo accade da sempre. Nel mondo greco e romano la donna-dea possedeva una dimensione impareggiabile e inarrivabile. Afrodite, Era, Demetra, Gaia e quindi Atena, Venere, Diana, dea della caccia; l’istinto virile in una donna le dona fascino e la rende altamente competitiva: un travaso di potere che una donna regge, al contrario, un uomo con una forte componente femminile perde tutto il suo fascino.

Donna è sport per sottolineare  l’incredibile avventura della donna nello sport. «Donna è sport» è anche il titolo di  una sfilata di orgoglio sportivo rosa nei 150 anni dell’Unità d’Italia: una mostra organizzata dalla Fondazione Candido Cannavò con la Gazzetta dello Sport tenutasi dal 10 giugno al 25 settembre al Museo del Risorgimento: è un tentativo per comprendere la evoluzione della donna nel mondo dello sport. Dal bianco e nero sbiadito di Ondina Valla a Berlino ’36 a Francesca Schiavone in Hd sulla terra di Parigi. Numerose donne hanno dimostrato che tutto è possibile anche nello sport. La donna è fragile, sensibile, delicata, devota, combattente, forte, vittoriosa; è mistero e forza nello stesso tempo. Lo sport è ambizione, competizione, passione e devozione: è costruzione del carattere; donna e sport si coniugano molto bene e creano  una nuova ricetta per il successo e ben si adegua alla contemporaneità. E' in atto una lotta continua per dimostrare l'uguaglianza tra la donna e l’uomo che, forse, non finirà mai.

Sin dall' l'antichità, lo sport è stato un modo per provare la forza e l'intelligenza umana e gli uomini sono stati i primi a provare le loro capacità fisiche.

Oggi, la donna può praticare tutti gli sport che vuole, ma in certi Stati è ancora costretta a camminare a viso coperto e ogni attività sportiva le viene negata. L’influenza dello sport sul carattere della donna è notevole, sia in termini di distrazione dalla pesante quotidianità, che di benessere fisico generale per le sue tipiche caratteristiche fisiche.

La donna sportiva, o che frequenti soltanto una palestra per qualche ora settimanale, appare allegra, forte, ottimista e decisa.

E’ noto il fatto che le discipline sportive sono state inventate per preparare e migliorare la tenuta fisica dell’uomo, per raggiungere nuovi traguardi, per essere più preparati e più adeguati allo svolgimento di certi sforzi fisici che venivano richiesti in particolari momenti operativi e di lotta. Non c’è dubbio che in questa direzione abbiano anche giocato fattori contingenti, come i tornei equestri, i duelli e quindi le battaglie e le guerre. Rimane fondamentale il fatto che allo sport venivano, e vengono, richiesti continui traguardi e nuovi record, sia per esaltare la disciplina sportiva che per ricercare migliori interventi di attacco in particolari momenti in cui era in ballo la vittoria o la sconfitta.

L’uomo, però, ha sempre avuto motivo di essere sollecitato nel superamento di una prova, specialmente quella sportiva che, nel passato, si identificava particolarmente con il torneo equestre, ma ancor prima con lo stesso combattimento tra gladiatori. La vittoria era sempre collegata al trionfo, diversamente ad aspettare c’era la morte, fisica o psichica. Il gladiatore vincitore, prima di finire il suo avversario, dedicata la vittoria all’imperatore, poi al re o alla regina. L’uomo ha sempre offerto il proprio trionfo ad una persona. Quando questa persona non era un capo, ecco allora che destinatario del trionfo era la bellezza di una donna. La donna, grazie alla sua bellezza, alla sua grazia, alla sua appartenenza, riceveva il dono del massimo sforzo dell’uomo in esercizi in cui la virtus era la qualità dominante per il passato, ma non di meno per il presente.

Mi piace ricordare un esempio della modernità. Credo che in molti se lo ricordano per aver colpito la coscienza di molte persone. La forza che si piega alla bellezza e all’amore, cosa che solo lo sport può fare, oppure il senso di umanità di certi uomini.

Che bello quell’atteggiamento sublime di Matthias Steiner, il campione olimpionico tedesco, che ha donato il suo oro a quella che sicuramente rappresenta il suo diamante per sempre da incastonare nella eternità del tempo e nella coscienza degli uomini. Quella foto in  alto, poi sul cuore, poi posata sulla scarpa del campione; Steiner ci ha permesso di stendere un filo luminoso sulla opacità incosciente della contemporaneità dove una moto fa sentire un cow boy, un suv un latifondista, una dose di polvere fa sentire molti giovani degli invincibili del niente, di certo dei distruttori del genere umano. Una grande lezione di vita, direbbe qualcuno, ma questo appartiene alla divinità, alla santità che molti, ormai, non riescono a capire nemmeno. Ma rimane uno dei miracoli che solo lo sport riesce a compiere.

La prima volta che la donna scese in campo per fare dello sport fu  sui grass court (campi d’erba all’interno delle corti) del medioevo per giocare il jeu de pomme, o pallacorda, comunque l’antesignano del tennis. E’ giusto ricordare che molto spesso il gioco avveniva tra un uomo e una donna, sempre all’interno delle corti, in quello che potrebbe essere ricordato come il primo sport a partecipazione femminile. In questo caso il rispetto e la cortesia rimanevano inviolate. Il punteggio del tennis che oggi è ancora in vigore: 15-0, 30-0, 40-15, ecc, risale proprio a quel tempo e, data la circostanza, non era possibile, segnando il punteggio, gridare 15 a 0, ma: fifteen-love. Il termine “love” per indicare lo 0 è ancora oggi usato in lingua inglese ed è rimasto uno dei modi per pronunciare lo “0” in riferimento proprio al gioco del tennis.

Va considerato, più in generale, come la donna, pur non essendo una protagonista  sportiva, aveva un ruolo determinante nel successo del cavaliere e dello sportivo del tempo. Fu questa concezione a creare la letteratura cortese cavalleresca che si è poi protratta nei tempi attraverso la ricerca della gloria (in termini di importanza), la gloria per la gloria,  e quindi la preziosità e la tradizione dei saloni letterari tenuti da donne che seguivano e verificavano persino  la ispirazione letteraria e artistica. La donna ha così proseguito nella sua opera ispiratrice anche per quanto riguarda la produzione letteraria. Nessun libro veniva pubblicato se non aveva il placet di qualche salone letterario di una donna importante; fatto, questo, che potrebbe  indicare un passaggio stesso della donna da espressione ispiratrice a protagonista dello sport; passaggio che è andato realizzandosi man mano che lo sport cessava di essere espressione della forza, a volte bruta, e diveniva espressione di bellezza, di stile. La donna ha quindi avuto modo e tempo per un divenire consapevole della sua forza interiore, del suo genio, della sua natura apparentemente fragile, ma molto forte dentro ed ha affrontato, con forza e coraggio, le discipline sportive.

E' pur vero che gli uomini hanno delle prestazioni notevoli nello sport, difficili da superare per una donna, ma non impossibili. Un esempio in questo senso è la formidabile Nadia Comaneci, la più famosa ginnasta rumena di tutti i tempi. E’ difficile dimenticare che, a 14 anni, è riuscita a d ottenere il primo 10 alle Olimpiadi di Montreal, Canada.

A proposito di discriminazione femminile,  ma mi piace ricordare la considerazione di Candido Cannavò che convalida un percorso femminile quale fenomeno sportivo italiano: “Lo sport italiano oggi è ai massimi livelli, abbiamo un gruppo d’élite nello sport italiano, l’élite dello sport è donna”. Cannavò aveva capito che “lo sport è donna, che un impetuoso percorso ha portato la donna ad avere pari diritti nel sociale, e che ora, questi diritti , a giusto titolo, la donna li vuole ottenere anche nello sport. Con accanimento e disciplina le donne stanno surclassando gli uomini, che inebetiti stanno a guardare. Azzardo una considerazione: forse per avere uno sport pulito noi maschietti dovremmo guardare con deferenza al processo che ha portato sui podi così tante donne.”

In trenta anni le presenze femminili nello sport  sono passate dal 18% al 46%. Alle Olimpiadi di Lillehammer  su 17 medaglie vinte 10 erano femminili.

L’orgoglio sportivo femminile italiano Paola Pigni, sostenitrice della meritocrazia, dell’onestà e della libertà; Stefania Bianchini,  campionessa mondiale di boxe e kickboxing – ci ricorda che fino al 2001 in Italia era vietata la boxe femminile da professioniste.

L’on. Manuela Di Centa, oggi parlamentare. Valentina Vezzali che ricorda: “C’è un tempo per tutto, c’è un momento per smettere per essere esempio in una società in cui servono figure di riferimento pulite.”

Novella Calligaris , la prima campionessa italiana del nuoto, che da piccola era terrorizzata dal mare, seguita da Federica Pellegrini. E poi: la campionessa di pallanuoto Arianna Molinari, la campionessa di caduta libera Barbara Brighetti, la campionessa di mountain bike Paola Pezzo, e altre ancora.

Roberta Vinci, tarantina,  che quest’anno ha superato se stessa trionfando nei tornei di singolo e in tre di doppio Wta., guadagnandosi  l’accesso all’appuntamento riservato solo alle migliori, il Master B di Bali. «Un vero e proprio segreto non c’è: è il frutto di tanto lavoro. Sicuramente la chiave di volta è stata il supporto del mio allenatore Francesco Cinà. E’ riuscito in questi quattro anni a cambiare la mia mentalità in partita: sono diventata più positiva ed aggressiva. La tecnica già c’era, non ho cambiato molto il  mio modo di giocare attuando nuove tattiche. Era la testa che non andava bene».

Rosalba Consoli, altro orgoglio sportivo nostrano, maratoneta di profilo sportivo internazionale,  che ci ha donato la fiamma olimpica dei giochi olimpici invernali di Torino, ma anche un orgoglio sportivo di primo piano.
La giovanissima Francesca Semeraro.

A volte gli esempi sono come delle immagini indelebili che suscitano ammirazione e realizzano confronti che sarebbe impossibile fare diversamente, storditi come ormai siamo da arruolamenti di calciatori qualsiasi, scontri frontali, stupri quasi di massa e raptus che producono la inenarrabilità. Se soltanto si riuscisse ad educare la persona al rispetto, alla considerazione, all’amicizia e poi all’amore, forse, ognuno potrebbe pensare di aver svolto il proprio dovere in cambio del dono della vita e vivere ricercando la idealità. Ognuno ha un dovere da compiere e qualsiasi dovere lo si può svolgere soltanto con il rispetto, la valentia e l’amore, baluardi di ogni disciplina sportiva: questi sono i veri gradi di istruzione della vita che sono in un continuo divenire in quanto determinano il progresso sociale e danno senso all’amore, senza il quale tutto appare inutile. E non è un caso se oggi  “sport è donna!”, implica stile, portamento e bellezza: i nuovi traguardi del vivere oggi.

Panathlon Club – 26.11.2011 – Circo Sottufficiali Taranto

sabato 29 ottobre 2011

Mirò – Lisi “… in blu”

Osservi le opere della Lisi e ti chiedi perché sono tutte vestite di blu. I colori sono la lingua segreta della natura, sono la luce, ma la scelta del blu è una condizione dell’anima che passa attraverso la storia e le tradizioni dell’uomo.
Ti soffermi a pensare e realizzi che il blu è una variazione del bianco, come tutti i colori, ma le varianti si riferiscono alla condizione spirituale della persona, al suo temperamento. Il blu greco è il colore della sofferenza: cyanos; il blu latino è candidus, coeruleus: bianco. Un tempo il pallore era considerato simbolo di bellezza e di benessere, proprio dei nobili, in opposizione al colore scuro abbronzante tipico dei lavoratori della terra. Il pallore evidenziava le vene blu e questo permise la dizione di sangue blu, nobile.
Il blu cristiano è il colore della vergine Maria: il colore della serenità che invita alla calma e simboleggia la pace. Ma il blu è anche il colore dell’universo, dell’infinito e per questo il colore della natura, della maturità.
In psicologia il blu si contrappone al rosso e viene considerato il colore dell’introspezione e dell’infinito, ma anche della malinconia, mentre, in informatica, rappresenta il blocco totale del sistema: Blue screen of death; può anche rappresentare la morte che porta alla resurrezione, non quella del corpo, ma quella dello spirito che veste l’uomo e la sua persona.

Il blu rimane il colore primario nella pittura, il colore della narrativa pittorica di Letizia Lisi. Inconsciamente, attraverso le sfumature del blu, ascolti una parola serena e penetrante che ti coglie come espressione viva dei sentimenti e dei valori che una persona adulta e saggia vuole trasmettere. Attraverso il blu Letizia Lisi esprime il suo lato interiore che non è scuro, ma blu luminoso per i molteplici fasci di luce che riesce a sviluppare e diffondere in varie direzioni, sia quando è accompagnato dal bianco, che dal nero e dal rosso.
Sono tante le tendenze che Letizia suggerisce e indica, ma tutte convergono alla distensione ed alla luminosità che avvolge il pensiero e gli conferisce nuova produzione. Guardiano eterno rimane l’albero, vigile custode del suo ambiente che non vuole contaminato da niente e da nessuno, tranne che dalla luce del sole che, nel tempo, sorge e si alza nel cielo per rimanere fisso e immutabile all’orizzonte che ora non appare più buio e incerto, ma illuminato e sicuro: qualità che trasferisce all’intero ambiente e all’uomo. Sono motivo di studio i colori della Lisi e, molto spesso, le sue creature nascondono sembianze umane e si vestono a seconda delle stagioni e della luminosità naturale.

Nelle creazioni della Lisi si ritrovano alcune certezze, divenute tali per abitudine, ma sono sempre osservate e custodite con gelosia, perché chiunque può contaminarle o portarle via. Ci riferiamo alla intensità dell’espressione dei sentimenti. E’ intenso ciò che è ricolmo: un sentimento, ma anche l’energia di volersi esprimere continuamente, mettendosi in gioco. L’azzurro rappresenta l’origine dal quale attingere gli elementi per potersi esprimere artisticamente e rappresenta il tipo di sensibilità che consente di percepire la realtà esterna oltre i sensi e di proiettare quella propria interiore.
Le diverse sfumature del blu rappresentano il sentiero intimo della nostra pittrice che conduce alla ricerca del possibile tutelato, pur sempre consapevole, dal mutare dei tempi, ma (e questo è i suo segreto) riesce con abilità di donna e di mamma a trasformare le sue apprensioni e ad inserirle nell’ambiente che vive e che respira per fissarle sulla grande tela della natura che si arricchisce ulteriormente di questa ulteriore sfumatura del blu in quanto conduttore di esperienze, di affanni e di bellezze che vengono inanellati per correre via nel tempo e rifugiarsi nell’eternità.
Questa certezza traspare dalle opere di Letizia Lisi a sostegno della raggiunta serenità, proprio attraverso l’arte che sembra rimanere il suo libro aperto sulla natura e sugli uomini: una sfilata di colori che il portamento rende gioiosi e piacevoli.

La intuizione
Allora…, ogni intuizione è un mossa intellettuale e senza l’intelletto rimarremmo alla pura e semplice sensazione che potrebbe essere simile al piacere o al dolore, diversamente sarebbe soltanto un alternarsi di condizioni prive di significato e quindi non sarebbe una conoscenza. L’intuizione, come conoscenza e come ragione, appartiene al genere umano e quindi pone l’uomo nella qualità necessaria di agire secondo un piano di logica e di riflessione dal quale emerge il bello, la morale e l’etica; sempre il pensiero appartiene alla contemporaneità e traduce, in termini nuovi, l’attualità con le sue difficoltà e le sue incomprensioni, sia se ci riferiamo agli eventi storici che al divenire della persona che pur deve adeguarsi all’incedere del tempo ed alla evoluzione del bello, compreso il modi di vestire e di apparire. In un momento in cui la parola sembra essere asservita agli interessi personali o di parte, ecco che, come già avvenuto in passato, l’arte, in tutte le sue forme ed espressioni, riesce a dare il giusto senso delle cose e a permettere una diversa visione e interpretazione degli eventi. Ogni esposizione di opere pittoriche è una occasione per ricordare che ognuno di noi può essere osservato e fruito per arricchirsi e arricchire gli altri: una forte occasione di vita in quanto sviluppa una sottile partecipazione e comunione di riflessione, che non è semplice partecipazione o presenza massificante, ma interazione continua e subliminale tra ascolto, visione e condivisione.
La conoscenza dell’intuizione di altri diviene nostra intuizione (è il caso della moda) e nostra ragione per costruire la sapienza irradiata dalla bellezza che produce cristianità e amore per l’uomo, facendolo apparire, e auspichiamo credere, bello e presentabile. Forse questo è il senso nuovo e moderno della istruzione, della formazione e della creazione che, per certi versi, sembra sfuggire da una giusta interpretazione. In questo momento particolare della storia, considerare il coro a più voci, significa prendere coscienza della esistenza di un modo di pensare e di interpretare la vita. Attraverso la ispirazione individuale ci viene meno complicato comprendere che esiste sempre una qualche forma di speranza che si annida dentro lo stesso uomo e in esso sono sempre salvaguardati i sistemi di svolgimento delle difficoltà e della giusta interpretazione delle circostanze, come la modernità, particolarmente espressa dalla moda e dal modo di vestire. Sono molti i simboli del discorrere cromatico, e non solo, che svolgono il pensiero contemporaneo e liberano al vento parte di essi per permettere poi all’uomo di poterli incontrare ed essere in grado di fruirli nella maniera più adeguata possibile.

Il portamento
Ogni creazione è frutto del passato, nel senso che ridetermina in chiave moderna il nuovo, ma a questo “nuovo” si arriva interpretando tutto il pensiero corrente, ogni tipo di egregia esposizione, ogni preziosità creativa dell’arte che, in quanto tale irradia, abbellisce e tiene salda ogni innovazione che vuole apparire un procedere verso la continua interpretazione della vita e dell’uomo. Questo è un motivo per cui l’arte, che accomuna ogni creazione che abbellisce la vita, permea e avvolge ogni attività di ricerca. Un tempo si ricercava la specialità, oggi si cerca l’epistemologia dei saperi nel senso che ogni creazione contiene il senso e l’agire artistico necessari in ogni sviluppo del pensiero e della creatività, non ultimo l’agire per narrativa, dove ogni cosa viene raccontata con la consapevolezza degli sviluppi delle ricerche che, quasi sempre, convergono per creare ciò che attrae e rende seducente: il portamento come il comportamento.
Quel pensare in blu continua a conferire luce alle cose che vengono riprese dalla mente e impresse sulla tela, ma anche molta ragione ai motivi stessi della ispirazione: mai per caso in Letizia Lisi.
Ma, la creatività in blu sembra conferire una luce particolare all’ambiente, come alla persona che lo veste; il vestire in blu ti riporta alla natura e alla vita, sia alle prime luci dell’alba che al calar delle tenebre; quella luce rimane sufficiente per porre sulle spalle un mantello di dignità e di distinzione in cui la sobrietà e le linee sembrano conferire all’arte-moda una estensione in cui trova espressione il bello del vivere e il bello dell’ essere donna… proprio come Elena Mirò, che pone al centro della sua tavolozza la persona donna e la fa interagire con la natura che la circonda e ci circonda.

Boutique Elena Mirò - Taranto 20 ottobre 2011

domenica 18 settembre 2011

Il valore del silenzio, nella vita e nell’arte

Il silenzio indica la relativa o assoluta mancanza di suono o rumore . In senso figurato, può indicare l'astensione dalla parola o dal dialogo. Viene considerato una forma di rispetto collettivo l'osservare alcuni minuti di silenzio e raccoglimento durante la commemorazione di persone defunte. Questa pratica, presente in tutti gli aspetti della vita sociale, assume un particolare valore e importanza in campo religioso. In senso lato si può intendere anche come l'insieme di gesti e comportamenti sociali attuati in alcune circostanze. La pratica del silenzio viene considerata una forma di disciplina spirituale presso alcune forme di religione e spiritualità. Nelle regole religiose cristiane, in particolare di clausura, il silenzio è uno dei vincoli obbligatori della vita comunitaria. Che il silenzio non sia solo la negazione o l'interruzione della comunicazione, ma un mezzo di espressione di pensieri ed emozioni è convinzione che risale ai primi retori. Seneca, come pure Cicerone e Quintiliano, sostiene che un bravo oratore non solo deve saper parlare ed essere persuasivo, ma deve anche saper tacere con efficacia. Il silenzio diventa così messaggio e continua la sua eloquente oratoria in termini di formazione e conoscenza. La scelta di non dire è un atto linguistico, come è la stessa espressione della preghiera, parlata o silenziosa. Quando il silenzio cede la parola alla immagine, allora la comunicazione diventa più forte per effetto della bellezza che essa produce attraverso la sua cromaticità, ma soprattutto attraverso la sua espressione e intuizione della ispirazione; in questo caso l’orazione diviene individuale e, allo stesso tempo, collettiva per effetto dell’oggetto della ispirazione che indaga nell’ambito della sacralità della grazia e si esprime al meglio per donare lati diversi della conoscenza e della considerazione oggettiva. L’arte, come il buon comportamento, è figlia sempre del proprio tempo, per cui questa esperienza forte e partecipata dalla sacra ispirazione produce il nuovo, la modernità e ci permette di intuire, se non comprendere appieno, il cambiamento dei tempi e la diversa concezione di riferimenti che per il solo effetto del tempo assumono significanti diversi. I motivi che originano qualsiasi buona opera non possono che abbellire la nostra esistenza, arricchirla ulteriormente e avviare un dibattito su temi e immagini che certamente devono essere adeguati ai tempi per capirne il mutevole e pregnante valore in termini di continuità e di miglioramento della comprensione. E’ questo un coro a più voci, una sinfonia di pensieri e di interpretazioni che ci offrono il senso vero delle cose e la consapevolezza che l’uomo, il suo essere, il suo modo di essere e di pensare appartiene ad una miriade di pensieri e di interpretazioni che ci lasciano col fiato in gola, tanto è immenso il mare della ispirazione che l’uomo, soltanto lui e la sua positiva diversità, riesce a riprodurre e a presentarci sotto forma di saperi e di nuove conoscenze, sempre attuali per il suo continuo rinnovamento nello spirito e nella mente dello stesso uomo: nostra eterna preoccupazione.

Ogni intuizione è un mossa intellettuale e senza l’intelletto rimarremmo alla pura e semplice sensazione che potrebbe essere simile al piacere o al dolore, diversamente sarebbe soltanto un alternarsi di condizioni prive di significato e quindi non sarebbe una conoscenza. L’intuizione, come conoscenza e come ragione, appartiene al genere umano e quindi pone l’uomo nella qualità necessaria di agire secondo un piano di logica e di riflessione dal quale emerge il bello, la morale e l’etica; sempre il pensiero appartiene alla contemporaneità e traduce, in termini nuovi, l’attualità con le sue difficoltà e le sue incomprensioni. In un momento in cui la parola sembra essere asservita agli interessi personali o di parte, ecco che, come già avvenuto in passato, l’arte, in tutte le sue forme ed espressioni, riesce a dare il giusto senso delle cose e a permettere una diversa visione e interpretazione delle cose. Ogni esposizione di opere pittoriche è una occasione per ricordare che ognuno di noi può essere osservato e fruito per arricchirsi e arricchire gli altri: una forte occasione di vita in quanto sviluppa una sottile partecipazione e comunione di riflessione, che non è semplice partecipazione o presenza massificante, ma interazione continua e subliminale tra ascolto, visione e condivisione. La conoscenza dell’intuizione di altri diviene nostra intuizione e nostra ragione per costruire la sapienza irradiata dalla bellezza che produce cristianità e amore per l’uomo. Forse questo è il senso nuovo e moderno della istruzione e formazione che, per certi versi, sembra sfuggirci da una giusta interpretazione. In questo momento particolare della storia, considerare il coro a più voci, significa prendere coscienza della esistenza di un modo di pensare e di interpretare la vita. Attraverso la ispirazione individuale ci viene meno complicato comprendere che esiste sempre una qualche forma di speranza che si annida dentro lo stesso uomo e in esso sono sempre custoditi i sistemi di svolgimento delle difficoltà e della giusta interpretazione delle cose. Come non ammirare e considerare accortamente i tanti motivi, comprese le loro interpretazioni, di motivi che sono gli argomenti di un discorrere cromatico e culturale, pittorico e del pensiero nostro contemporaneo, del quale, tutti artisti, ne sono parte integrante per il solo proporci interpretazioni e conoscenze nuove di quanto ci accompagna da sempre con riferimento e devozione.

venerdì 15 luglio 2011

Taranto: la gemma dello Jonio

La gemma dello Jonio - Oltre tre mila anni di storia sono riflessi sul territorio; anni durante i quali rifulse il nostro territorio, rinomato centro di civiltà magno-greca e poi romana, e quindi federiciana e marinara, passando attraverso la tecnologia impositiva dell’acciacio. Quando gli storici parlano delle origini di Taranto, parlano di Saturo e con saturo emergono figure di personaggi che si identificano in Orazio, Pirro, Falanto, i Parteni e la Ninfa Satyria. La storia di Leporano, infatti, è legata alle origini di Taranto. Le due versioni esistenti sono entrambe legate a Saturo. Secondo quanto ci hanno tramandato Antioco di Siracusa ed Eusebio di Cesarea, si racconta che a Falanto, capo dei Parteni, fu concesso dall’Oracolo di Delfo di abitare Satyrion e la pingue regione di Taranto. La seconda versione ci riferisce che il termine Satyrion deriva da Satyria, la Ninfa locale amata da Poseidone, dio del mare, dal cui amore sarebbe nato Taras, il quale avrebbe poi fondato Taranto. Entrambe le versioni attestano l’anteriorità di Saturo rispetto alla stessa Taranto, capitale della Magna Grecia.

Centro di civiltà, crocevia di interessi e contenitore di tante espressioni artistiche, questa terra custodisce un patrimonio storico che va riproposto per far rinascere la civiltà contemporanea. Apprendiamo da Nicola Millardi che a Saturo c’erano tintorie dove si tingevano lane di gran pregio, rinomate nel mondo classico; c’erano botteghe artigianali che attestavano la laboriosità e la creatività del tempo, non ultimo i maestri orafi. Lungi dal continuare ad esaltare le amenità che pur ci sono, Taranto sembra sprigionare un fascino interiore che sa molto di spiritualità. Crediamo alla influenza del luogo, come crediamo al suo valore pedagogico che molto spesso viene confuso con quella paventata necessità sociologica che investe l’edilizia. Il messaggio principale vuole essere questo: “Ambiente e ispirazione divengono un tutt’uno per la ricerca delle potenzialità del divenire attraverso la verità di forme che la luce e la ricerca riescono a rivelare, anche attraverso le ombre.” Fra colli d’anfora, mattoni di calcare parallelepipedali, tegole ancora inutilizzate, chiodi ossidati, skyphoi, hydriai (risalenti al terzo e quarto secolo a.C.) e suggestive supposizioni storiche, si evince e si documenta la centralità del mare e di Saturo per i Greci, i Romani e i Medievali. Dalla grande ricchezza raccolta e conservatasi nel luogo per secoli, si può risalire ad una antica civiltà e scoprire i meccanismi di associazione, le funzioni e le abitudini sociali, nonché quelle economiche, commerciali ed artistiche. Taranto come ricchezza storica e coscienza civile; come grande incontrastato spettatore e protagonista della storia, sempre tale da millenni; Taranto demandata alla cura ed al rispetto di noi moderni, anche noi protagonisti della storia. La conoscenza ed il rispetto dell’ambiente possono ben rendersi portatori di nuovi valori umani in grado di produrre nuovi ordini e creare realtà supplementari capaci di permetterci di procedere autonomamente. Il rispetto dell’ambiente e della natura è un atteggiamento irrinunciabile, per cui l’artista, il ricercatore, il pensatore devono saper trarre ogni divina verità dalla rivelazione della storia. Il bene culturale mantiene e conserva una condizione che ci consente di considerare quell’autorevolezza superiore che è conservata in esso.

Le vocazioni del territorio sono dei grandi capitoli all’interno dei quali poter costruite la sinte
si tra uomo e ambiente. L’ambiente può ritenersi la madre dell’uomo e in quanto tale è sempre pronto a custodirlo e ad allevarlo secondo le bellezze della sua natura interiore. Tra l’uomo e l’ambiente si pone l’Ente locale che è il principale deputato a programmare lo sviluppo del territorio e della comunità, ma molta parte è demandata alla individualità ed alla capacità di rispetto che ognuno deve avere nei confronti della natura.

Il nuovo nasce dal passato e si collega al presente affinché beni culturali e beni umani possano divenire espressione di civiltà e di forte richiamo turistico.
Uomo e ambiente, se non interagiscono, non hanno possibilità di sopravvivere e forse nemmeno motivo di esistere. L’uno vive in funzione dell’altro, mentre entrambi inneggiano al miracolo della vita ed al miglioramento continuo dell’uomo, attraverso quanto ci ha lasciato nel corso dei tempi. Il giacimento culturale deve resuscitare continuamente il patrimonio dell’anima, così come quando uno scrittore, un poeta, un pittore, un musicista riesce ad esprimere tutta la sua interiorità artistica per il piacere di esternare moti interiori in grado di abbellire l’esistenza e di disegnare un percorso adeguato lungo il quale poter vivere la propria esistenza e darle un senso. Ciò che avanza indelebilmente è il tempo, per tutto e per tutti, ma se non lo colmiamo di buona proposizione, di capacità culturale e di miglioramento dei propri ideali e del proprio comportamento, è come se non lo vivessimo affatto. L’etica non è mero rispetto della regola, ma capacità di saper trasmettere agli altri la propria cultura per permettere alle generazioni future di contare sui valori della appartenenza. La cultura è conquista quotidiana che ricerca la salvezza e non può, contrariamente alla idea comune, starsene in disparte e attendere. La divulgazione e la diffusione sono dei compiti importanti che l’Ente locale deve perseguire per tenere alto l’orgoglio civico e il senso della appartenenza. Il cittadino deve farsi accarezzare dale gioie che sono sparse attorno a lui, e amarle, e migliorarle. In questo senso il tempo è galantuomo e conferisce qualità alla vita nella misura in cui ogni singolo cittadino riesce a considerare come propria una cosa commune, un bene pubblico. A tutti è demandato il dovere di essere, se volete, dei politici, nel senso di saper organizzare e difendere la cosa pubblica, proprio in quanto appartiene, in parte, a ciascuno di noi. Ci sono molti motivi per affermare questo, ma alcuni possono essere, a mio parere, i seguenti:

1. Il primo è rappresentato dalla crisi che investe la vita contemporanea in quanto riflette la mancanza di lavoro, la ricerca del potere, l’espressione spropositata di prevaricazione e di arroganza da parte di coloro i quali devono difendere le istituzioni semplicemente facendole funzionare a favore dei cittadini tutti e non divenire come dei proprietari soltanto perchè hanno ricevuto dei voti. Ecco, I voti: essi rappresentano la condizione di fiducia a fare meglio ed a servire e non altro.

2. Il secondo dalla ingiustificata appropriazione del potere pubblico quale bene personale e non servizio alla collettività.

3. Il terzo è porre fine, con forza e con coraggio, alle intercessioni di raccomandazioni a favore di persone mediocri che allentano, fermano il corso del processo innovativo del progresso. E’ questo un agire ormai obsoleto e inaccettabile.

4. Il quarto sarebbe l’immediato licenziamento da qualsiasi impegno pubblico, con conseguente addebito dei costi, a chiunque utilizzi denaro e cosa pubblica in maniera personale e spropositata senza ritegno.

Dal passato nuove professionalità
Il mondo esterno, complesso e articolato per l’evoluzione inarrestabile della scienza e della tecnologia, ha bisogno di cittadini in grado di comprenderlo e amarlo. Per realizzare questa simbiosi, vera sfida del futuro, è necessario che la società e la scuola debbano permetterne le conoscenze collegate direttamente all’ambiente e alla società civile. Rimane quindi rilevante la conoscenza e l’esame del mondo che ci circonda, anche attraverso una analisi ed una critica costruttiva. Alla nuova scuola si chiede di avviare la costruzione della soggettualità nel pluralismo esistenziale. La memoria, i segni della memoria, le tradizioni, la storia, il pensiero devono poter concorrere alla elaborazione e costruzione della organizzazione della realtà. In questo senso, la scuola, la società civile e la realtà, le discipline e i problemi, le esperienze personali e quelle sociali rappresentano il piano sul quale devono potersi incontrare le esigenze del nuovo per poter spingere, ogni individuo, ad effettuare ulteriori elaborazioni. L’occasione, comunque, non può che esserci offerta dalla terra, dalla nostra terra, considerando il carattere fortemente storico, caratterizzante sia in termini di glorioso passato che di fiorente futuro-presente in relazione al turismo, alla bontà dei prodotti, alla rinomata dieta mediterranea: il tutto naturalmente intriso di diversità, di storia, di divenire dinamico, di onestà e di amore. Creato il bene si dovrebbe pensare a gestirlo, in maniera autonoma e corretta, per avviare quella cultura della conservazione, ma anche della responsabilizzazione a vivere, a far rivivere, il passato per costruire il future presente continuo.

Che cosa evoca la storia? Innanzi tutto l’uomo! Archita, Pitagora, Aristosseno! Essi rappresentano il pensiero e la morale, la legalità, composizione e musica: essi sono la nostra grande eredità spirituale. Su di loro possiamo continuare a fondare il nostro future.

sabato 11 giugno 2011

Occorre ritornare ad agire per amore!

L’uomo rimane creatura inscrutabile, un essere complesso la cui azione lascia stordito, e frastorna studiosi e scienziati. A volte pensiamo che sia possibile verificare e studiarne una parte, avere la presunzione di comprendere quello che accade in lui o quello che si potrebbe verificare oltre la conoscenza empirica; a volte pensiamo che una medicina possa risolvere il problema fisico; che un buon comportamento possa definire il perbenismo; che una vincita sulla ruota della fortuna possa risolvere i problemi della vita; che una buona difesa possa permettere alla giuria di capire la verità; che un buon insegnamento possa costruire l’uomo per la vita! A volte crediamo a queste cose e ci comportiamo di conseguenza, dando per scontato il risultato! L’incalzante trasformismo dei tempi moderni pone, ha posto, in crisi molte teorie che un tempo apparivano certezze e che oggi lasciano poco margine al riscontro, al raffronto, alla spiegazione definitiva.

In questo scenario appare difficile mantenere i riferimenti del passato in quanto il vivere quotidiano lascia spazio sempre più unicamente alla forza ed alla bellezza che, da sole, alimentano (sfamano) il relativismo profano. Il problema riamane quello di preservare e sostenere la ragione: un valore da proteggere, anche con coraggio, e da adeguare ai tempi. La sapienza oggi appare come la espressione di più saperi e di più conoscenze; come la sintesi di una cognizione pluridisciplinare e interdisciplinare; la sapienza, così come oggi la si percepisce, rappresenta la rete i cui nodi sono dei punti mobili che vanno a collegarsi con altri settori e discipline.

Quando penso a queste cose mi sento fortunato di avere le opportunità che pochi hanno, di tenermi lontano dai rumori e di apparire subito sordo a certe espressioni, a certi atteggiamenti, a certe turbolenze caratteriali. In determinati momenti occorre ricorrere al silenzio per attestare il proprio essere; l’ascolto, da solo, è già virtù, mentre il silenzio stesso suggerisce e dona una possibile spiegazione, saldando ulteriormente la catena di unione. Per procedere in questa direzione occorre tenere sempre accesa la luce dell’amore: un elemento imprescindibile per venir fuori dalla oscurità, ancor più se ci si trova nella oscurità dei sentimenti che devono essere qualità per essere sostenuti. Se sappiamo dare delle risposte, allora possiamo pensare di lasciare accesa la luce dell’amore ed effondere il suo chiarore nella bellezza dell’agire, nella forza della costruzione, nella sapienza della elevazione. E’ difficile che tutto il resto rimanga in vita senza la forza dell’amore, quasi impossibile! L’amore è come l’aria che conferisce eternità alla terra, trasformazione all’acqua, rigenerazione al fuoco; riesce a rendere bevibile perfino i reflui, a permettere alla terra di dare frutti per nutrire tutti, al fuoco di divampare, purificare per ridare nuova vita. Quanto è bello quel sorso di acqua fresca nella calura, e quel fragrante frutto dorato e quella rigenerazione delle cose: la natura non si stanca mai di donarsi agli uomini. L’amore dell’uomo dovrebbe seguire le stesse attenzioni.

Allora, l’amore è insito nella natura stessa e ci apre la via al suo miglior utilizzo, fiorendo, donandosi, abbellendoci la esistenza. La pianta fragile non regge alle inclemenze del tempo, come la persona che impara non può ricevere scapaccioni e cattivi esempi e la persona che si ama non può essere picchiata, uccisa; va amata quella fragilità, che pur contiene la bellezza, per trasformarla in forza e per poter poi noi stessi poggiare una pietra per la costruzione della continuità. L’amore è una luce necessaria per comprendere i nostri simili; sia quelli che si sono da poco aggiunti a noi, che quelli che lo erano da prima, perché il pericolo è sempre in agguato e il male pronto ad impadronirsi di noi in ogni momento, ma soprattutto fare attenzione affinché le debolezze del momento non diventino motivi demolenti, ma trovino la giusta correlazione con i fatti e le vicende precedenti e vadano a colmare eventuali dolorosi vuoti.

Allora l’amore diventa forza quando vogliamo fortificare noi attraverso gli altri e gli altri possiamo rafforzarli solo ascoltandoli e dando l’esempio buono, capire le loro difficoltà, confrontarle, inserendole in quella catena di unione del pensiero e della intelligenza. E’ l’amore, solo l’amore, che conferisce resistenza alla forza, forma alla bellezza, ordine al pensiero, altrimenti gli anelli deboli resteranno sempre tali e la bellezza non sarà mai in grado di irradiare alcun pensiero, in quanto è venuta meno quella sapienza che è la sintesi pratica del vivere.

La bellezza è gioia di esistere, non condanna; è contemplazione della diversità, non motivo di saccheggio e di rancore; è riferimento del bello che inizia il suo percorso dalla persona per raggiungere la perfezione ritornando alla persona stessa al servizio degli altri; è soprattutto consapevolezza per continuare un cammino che possa rafforzare il concetto dell’uomo attraverso il sostegno della forza e la virtù costruttrice della sapienza. La certezza che la bellezza passa, o per cambio di opinione o per possedimento della cosa bella, o, ancora, per il naturale passare del tempo, deve poter costruire il lato meraviglioso della vita oltre le semplici apparenze e renderlo duraturo, eterno come solo la forza dell’amore riesce a fare.

L’amore appare quindi la condizione principale del percorso del gaudio interiore e della vita; l’amore è uno specchio dove potersi ammirare e inchinarsi ringraziando Dio per averlo dentro di sé in quanto in esso può essere custodita la vita. L’amore estende i suoi benefici effetti alla forza, rende bella ogni nostra azione, ma soprattutto conduce al raggiungimento della sapienza che diventano i veri baluardi della libertà e della consapevolezza autonoma nella collettività. Vivere nell’amore significa vivere momenti che nessuno ha mai vissuto; significa vivere l’alba di un giorno che mai morirà, significa saper arginare ogni tentativo di prevaricazione e di imposizione forte.

domenica 1 maggio 2011

Concorso di pittura: “San Giorgio nella espressione dell’arte”

Mi sono sempre chiesto con quali criteri si sceglie il nome per una persona cara, per un figlio in particolare. A parte la tradizione, molto spesso la scelta è dettata da ciò che il nome preferito o di maggior gradimento rappresenta. A volte chiamiamo i figli col nome del nonno, una tradizione che è permane insistentemente. In principio era cosa buona, specialmente se il nonno era persona perbene, di riferimento affettivo e dotato di attenzioni particolari. Il problema è che questo si ripete con tutti i figli e ripetendosi viene vanificata la possibilità della unicità o della continuità. Forse può andar bene una volta, ma non tante volte quanti sono i figli e magari i nipoti. I genitori, in genere, operano allo stesso modo quando devono scegliere una persona per battezzare o cresimare un figlio; così pure i giovani sposi, Insomma possiamo affermare che nomina sunt conseguentia rerum, per dirla in una lingua che comprende molte motivazioni di scelta, sia interna (riferimento alla persona) che esterna (qualità della persona) e oggettiva in quanto le cose stanno così.
Allo stesso modo una comunità sceglie un nome di martire a cui affidare la propria devozione e protezione. In genere i santi scelti a protezione sono martiri, ma anche guerrieri, a diverso titolo naturalmente; sono degli uomini esemplari per la loro vita vissuta e si vuole che la loro luce rimanga sempre accesa ad illuminare coloro che vengono e verranno. Quando ci riferiamo alla nazione, allora si vuole che quel protettore incarni un ideale che rimanga eterno e guidi la gente, proprio come accade quando incontriamo la giusta persona che ci accompagna e ci aiuta nella vita, dandoci sicurezza e progresso.
Mi piace pensare che l’Inghilterra abbia San Giorgio come Patron Saint. Mai accostamento è stato così giusto, e, per inciso, non si potrebbe dire diversamente dall’Italia che ha scelto il suo San Francesco. I motivi sono tanti, sia storici che di identità, come pure di carattere. La storia ci ha insegnato che l’evoluzione del popolo inglese è fondata sulla sofferenza, sulla sopportazione; sofferenza e sopportazione che hanno dato origine ad una struttura mentale forte e determinata. Oltre 1200 anni di invasioni, di saccheggi, di innesti di civiltà e di lingue hanno dato origine al popolo inglese i cui cittadini amano chiamarsi great Britons. L’accostamento col termine agricoltore (significato greco di Giorgio) ci sta in buona parte, se è vero che l’agire di un solo uomo si ritrova nell’agire complessivo di una famiglia e di una comunità, fino a venirne caratterizzata del tutto. Tanti popoli hanno conquistato e sottomesso l’Inghilterra, ma tanta è stata la stratificazione culturale e linguistica che ha prodotto un agire in divenire, una ricerca continua della superiorità e una lingua che appare la sintesi di tante lingue moderne e che, al tempo stesso, è la madre del pensiero contemporaneo, della ricerca, della inarrestabile tecnologia. Tutto nasce e viene studiato in inglese, mentre l’inglese permane, e ne coglie l’essenza, in ciascuna delle lingue avanzate del mondo classico e moderno: latino, greco, francese, italiano, tedesco, ed altro.
Come si fa a non accostare lo spirito di rivalsa del popolo inglese con quella di un uomo che lotta con la forza e convince con l’esempio gli altri. Forza e saggezza vanno sempre insieme, dovrebbero andare insieme , per realizzare la bellezza della esistenza. Esiste un agire collettivo e un agire individuale: entrambi producono la civiltà. La modernità di SG è tutta nella sua forza dirompente e moderna di essere guerriero della legalità, della giustizia, dei deboli, cioè, nell’accostamento che molti giovani dovrebbero trovare in lui. C’è necessità oggi di riferirsi ad un protettore guerriero e intelligente; c’è necessità oggi di essere sempre in guardia e di difendersi dal male diffuso e presente ovunque, ma ci dovrebbe essere anche la necessità di essere in grado di potersi avvicinare ad esempi di vita come quello che abbiamo scelto a nostro protettore. Non si sceglie una persona solo perché ci piace, è la scelta più stupida, si sceglie una persona per essere simile, per avvicinarsi ad essa, per imitarla, per crescere insieme e attrarre altre persone. L’uomo non è una ciliegia, che raccogli e usi in sequenza di una tira l’altra; l’uomo è una entità irripetibile nella sua collettività, un universo, un mondo che tutti dovrebbero conoscere, imitare se utile, utilizzare per arricchire il patrimonio sociale e umano: la grande creazione di Dio.
I Santi sono uomini, almeno lo sono stati, ed hanno rappresentato la diversità forte e invalicabile per molti aspetti e diversi tipi di azione. Rimane vivo in noi il desiderio di ascoltarli continuamente, ma vivo deve pure essere la capacità di imitazione. Ciò che caratterizza i tempi sono le persone, quelle buone e di riferimento, quelle che hanno prodotto progresso ed esempio di vita per tutti, quelli che ci hanno permesso di continuare il cammino interrotto per la presenza del male; quelli che il loro modo di pensare o di agire rimane attuale ancora nel presente. I grandi uomini non muoiono mai e per fortuna rimangono ad esempio eterno.
Oggi è un giorno particolare per aver portato agli onori degli altari uno dei personaggi, ancora vivo nella nostra memoria mentre le sue parole continuano a spalancare le porte a Dio, che ha caratterizzato il secolo ventesimo e la nostra vita. Quel sabato, 2 aprile 2005, il tempo aveva fermato per sempre la voce possente del Papa polacco, almeno non l’avremmo più sentita in diretta, mentre già si levava nella piazza la voce vigorosa del mondo per la sua eternità. ” Cavaliere di dio e dell’uomo, guerriero indomabile e gladiatore del male in ogni arena del mondo al punto da sentirti al suo fianco, da condividere tutto, da incitarlo a continuare perché questo mondo, pur privo di nazismo e di comunismo feroce, rimane colmo di dittature, regimi autoritari, fondamentalismi, terrorismo e tanti altri mali che producono vittime, tante e più dei mali precedenti.”

Ma San Giorgio è venerato in 21 comuni italiani (tra cui Genova, Ferrara, Campobasso, Reggo Calabria), due nazioni portano il suo nome, tanti i nomi di chiese e cattedrali e tanti personaggi illustri hanno portato il nome di Giorgio. È considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano. Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”;
La figura di San Giorgio, originario della Cappadocia, appare davvero transnazionale e trans religiosa (l’agiografia islamica lo definisce profeta). Può essere invocato inoltre dagli ammalati di lebbra, di peste o di malattie veneree. Ma c’è anche da ricordare un ruolo politico e militare di S. Giorgio. Nella Legenda Aurea si narra anche che i crociati nel 1099, giunti davanti a Gerusalemme, “ebbero una visione di San Giorgio vestito di una bianca armatura, che impugnava una croce. Il simbolo di San Giorgio, la croce rossa regolare, appare all’interno della bandiera inglese. Come si fa non riferirsi a questo protettore?!

Giorgio, figlio di Geronzio e Policronia che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia, ma per alcune recensioni si tratta dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore dei romani, il quale con l’editto del 303, prese a perseguitare i cristiani in tutto l’impero.
La leggenda del drago comparve molti secoli dopo nel Medioevo, quando la sua figura fu fissata come cavaliere eroico, che tanto ha influenzato l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare. Essa narra che nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno, in cui si nascondeva un drago. I poveri abitanti gli offrivano per placarlo, due pecore al giorno e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.
Passò proprio in quel frangente il giovane cavaliere Giorgio, il quale saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per salvarla e quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.
Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo che era stato mandato da Dio per liberarli dal mostro. Dopo la sua uccisione, il re e la popolazione si convertirono al cristianesimo.
La leggenda era sorta al tempo delle Crociate e narra, inoltre, che il cavaliere abbia colto la rosa nata dal sangue del drago sconfitto, per farne dono alla principessa appena salvata.
Simbolo di Cristo che sconfigge il male; altri vedono nella uccisione del drago la sconfitta dell’Islam, mentre Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) invocò san Giorgio come protettore di tutti i combattenti; nel 1348, re Edoardo III istituì il celebre grido di battaglia “Saint George for England”, istituendo l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera.
Il bene, dopo strenua lotta, vince sempre il male e salva il debole, e la persona saggia, nelle scelte fondamentali della vita, non si lascia mai ingannare dalle apparenze, ma libera sempre la propria anima di accrescere la propria sapienza.

Artisti presenti in galleria:
Il sorriso pianta un seme che germoglia nel buio.

Bicchierri Cataldo e Capuzzimati Angelo: nella loro semplicità riescono a esprimere l’atteggiamento di lotta del Santo contro il male. Gradevole l’espressione e le linee del cavallo che sprigiona forza aggiunta.

Caso Evangelina: in forma naif riesce ad esprime già bene la lotta contro il drago e la difesa della principessa. Bello, nel complesso, la scenografia, anche se urta un poco con la prospettiva, ma rimane stimabile la voglia di partecipazione.

Diversa la pittura di Chiovara Rosanna che scuote la scena con i suoi tratti impressionistici. Olio su tela che si avvicina al pastello per la sua tenuità e diffonde un senso di freschezza e di certezza contro la difficoltà.

Curci Sandro ci offre tratti più definiti e immagini veritiere. La corazza del Santo richiama già la visione (manca la croce) eroica del Santo e la sua vicinanza alla epopea crociata. Una opera suggestiva nel complesso che merita la giusta considerazione in virtù della sua proporzione, dei colori e della stessa espressione coraggiosa del cavallo che rimane parte integrante della scena.

Gallo Maria ritrae un particolare che pochi hanno evidenziato nella storia del santo, cioè il fatto che il nome Giorgio deriva dal greco georgos che significa agricoltore. Questa volta non è il drago protagonista, ma il frutto del lavoro nei campi e la fertilità di madre terra. Nel lavoro occorre la forza, ma anche la passione e la creatività per divenire e per ricordare che l’uomo tiene in prova il dono della vita con la ricerca. Chi non ricorda la saggezza degli antichi agricoltori. Tenui i colori, vivi e quasi naturali come i beni che la terra produce. La sua rimane pittura gentile e raffinata.

Greco Mino ha riprodotto una pala d’altare. Il mostro è proprio un simbolo del male, dipinto con colori forti e tetri. In questa opera si evidenzia un forte fervore religioso che pone il santo nella gloria e sovrasta tutta la scena che effonde il male evidente e la difesa della persona.

Lisi Letizia ci ripropone il suo blu sfumato che illumina ed evidenzia l’immediatezza dell’azione con tratti precisi e determinati che sviluppano un impressionismo definito e preciso. Una opera delicata che suscita immediata ammirazione per la luce che il colore conferisce alla scena.

Latorre Michele e Cataldo Montemurro ci riportano alla espressione semplice, ma sentita e con vigorosa espressione del drago che emerge fortemente quasi a voler intimare la paura per la sua esistenza. Il male, lentamente, riesce sempre ad impadronirsi di noi, quando siamo distratti e sbadati.

Nitti Franco: gradevole la grafica che delinea un movimento delle immagini molto significativo e in armonia con i movimenti. In questa opera si evince la capacità interpretativa della vita del Santo attraverso la stessa tecnica pittorica che da sola conferisce comprensione altra.

Nocera Franco ritrae il santo secondo una sua personale convinzione e visione. Forse vuole ritrarlo nella sua terra d’origine, la Cappadocia, parte della odierna Turchia, visti gli abiti che indossa. Rimane stimabile l’impegno della partecipazione che conferisce distinzione.

Piccoli Cataldo Anche in questa opera prevale il senso forte religioso. La volontà interiore esprime al meglio il suo desiderio: vincere il male servendosi anche di un cavallo guerriero come il suo cavaliere. La testa del drago è molto evidenziata dalla rabbia e dalla furia. Aldo imprime anche un poco della sua esperienza militare in questa esposizione. Va bene, visto che il Santo protegge anche i soldati.

Palmisano Caterina utilizza il rosso per esternare tutta la sua ira e ostilità contro il male che appare bianco, ma è già mimetizzato nel rosso del sangue che attesta la vittoria e farà poi nascere una rosa che sarà donata alla principessa salvata. Colori forti, di contrasto come il bianco e il nero, il bene e il male.

Rosaria Rosselli e Ruggiero Maria riescono ad esprimere apprezzabili espressioni della vita del Santo secondo una loro interpretazione di fede. Nei loro lavori traspare serenità e chiarezza di colori.

Speciale Oronzo ci dona i suoi colori forti e decisamente espressivi. Un lavoro bello nel complesso per effetto delle sue proporzioni, della sua luminosità, nonostante lo scuro della roccia, e della espressione delle figure.

Soloperto Pina ci offre uno spaccato iconografico di pregevole fattura. Evidenzia pienamente lo spirito eroico del Santo e lo fa accostando colori vivi e naturali. Lavoro ad olio di impatto, pulito e di preciso riferimento. Le linee sono determinate e svolgono bene il messaggio interiore dell’artista.

Vendola Maria Rosaria ci offre un quasi bassorilievo che appare impresso su una lamina di rame, in realtà si tratta di tempera all’uovo su tavola. Tecnica diversa, ma che conferisce alla collettiva il valore della diversità della tecnica artistica, a dimostrazione del fatto che ognuno può esprimere il proprio pensiero in qualsiasi modo, purché sia una idea costruttiva e a favore del miglioramento della vita di ognuno.

Sono presenti in galleria artisti che hanno presentato delle opere a tema libero. Essi sono: Amati Adriana, Boezio Filomena, Castaldo Anna Maria, Castrovilli Eusapia, D’Auria Sebastiano, Diciolla Elena, Fiore Doriana, Grano Salvatore, Ida Luzzi, Lazzarini Tiziana, Mannara Lina e Santoro Vincenzo.

Circolo socio-culturale “Lino Agnini” - San Giorgio J. 01.05.2011